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    La scorsa settimana abbiamo incontrato il grande campione italiano Vincenzo Nibali nella sua casa di Lugano per parlare di una delle tematiche che più lo appassiona ed accomuna a Q36.5: la preparazione perfetta del mezzo meccanico. La risultante chiacchierata è diventata il secondo capitolo della nostra nuova rubrica dedicata alla catalogazione dell’innovazione tecnologica del ciclismo moderno: Innovation Museum.

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    Ciao Vincenzo, per iniziare vorremmo sapere qual è stata la prima volta nella tua carriera in cui ti ricordi di aver fatto un “upgrade” alla tua bicicletta? Cos’era? Come mai l’hai fatta? Si sentiva la differenza?

    L’ho fatte da sempre [ride]. Fin da quando ero ragazzino ho prestato massima attenzione ad ogni minimo dettaglio della bici. Già da allievo, a 16 anni, la mia bici era al limite del peso, con componenti super leggeri. Montavo le ruote Mavic Cosmic, con bloccaggi speciali ed una cassetta rapporti alleggerita … Mi ricordo che mi piacevano da impazzire le Spinergy ma erano state vietate dall’UCI in quel momento e non si potevano usare perciò mio papà mi comprò le Cosmic, mi sembra, per 2 milioni di lire.

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    Qual è stata la prima volta nella tua carriera in cui hai veramente “sentito la differenza” tra un setup/montaggio/componente ed un altro? Qual era il componente?

    Prima di diventare professionista ho sempre montato le mie biciclette in casa, io e mio papà controllavamo sempre con attenzione i cuscinetti e le sfere e facevamo in modo che fossero sempre molto fluide, tutte belle ingrassate e pulite: la differenza si sentiva.

    Le ruote dovevano essere leggerissime. Se il telaio poteva essere un po’ più pesante, le ruote assolutamente no, dovevano essere leggerissime perché la leggerezza della ruota permette di essere più scattante. Prima ho nominato le Cosmic ma mi ricordo di un altro paio di ruote “homemade”, costruite da un piccolo artigiano, come si faceva ancora all’epoca, con i nipples del raggio in ergal che però si dovevano fissare con la loctite altrimenti venivano via… I mozzi erano della FRM, un prodotto incredibile alla fine degli anni Novanta. Già all’epoca, con queste ruote, preferivo il profilo alto dietro, che conferire molta rigidità, e un profilo basso davanti. Trovavo che cambiava la guida molto tenere il profilo basso davanti. Era più veloce nella manovra…

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    C’è stato qualche innovazione tecnologica durante la tua carriera di cui ti senti essere stato pioniere, il primo da usare? 

    Mi sento di dire che sono arrivato un paio di anni prima rispetto al gruppo ad utilizzare i chetoni. Prima nell’alimentazione e poi anche con il prodotto finito da usare in gara. Ci sono state altre piccole cose, come spostare la tasca della radio davanti sul davanti del body da cronometro. Mi sono sempre assicurato che l’assetto in bici fosse sempre quello a me congeniale nei punti di contatto con il mezzo: la mia sella, che è sempre rimasta uguale; le scarpe, dato che ho dei piedi molto sensibili, dovevano essere in un certo modo, così come la soletta delle scarpe che nastravo personalmente con spessori diversi. È stata proprio questa mia particolare sensibilità ai piedi che mi ha portato a conoscere Q36.5

    Ci arriviamo a quella parte della storia…

    [Ride] Ok

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    Qual è stato il tuo componente/montaggio preferito nella tua carriera? Quello che ti ha più positivamente impressionato quando l’hai usato per la prima volta?

    Non ho avuto un montaggio o componente preferito, ma ho sempre avuto un meccanico preferito. In Liquigas c’era Giuseppe Archetti, in Astana Gabriele Tosello, per nominare due. Il meccanico è quello che fa la differenza per la bici … vinci anche perché il mezzo è a posto. Poi ci sono tanti meccanici bravi nel ciclismo ma quelli che fanno veramente la differenza sono quelli che sanno modificare un componente o magari sanno come relazionarsi bene con un fornitore per ottenere modifiche o cose particolari non in commercio.

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    Prima, quando hai tirato fuori le bici per Giovanni [il fotografo] hai detto che la Cannondale Supersix, del 2012, l’hai usata ancora qualche volta in questi anni e che sei rimasto veramente positivamente impressionato. Ci spieghi meglio cosa intendi? Riguarda il fatto che non abbia i freni a disco? 

    Riguarda vari fattori ma soprattutto i freni a disco e, di conseguenza, il peso. Con l’innovazione del freno a disco le bici moderne sono diventate più rigide perché il carico della frenata è più vicino al mozzo, sono anche più pesanti per le ruote che hanno una rigidità maggiore dove viene applicato il morsetto. Ma sono anche più aerodinamiche, permettendoti di fare molta più velocità in pianura anche se magari perdi qualcosina in salita. Ma come dicono in Toscana poggio e buca fa pari!
    Le vecchie bici con i freni caliper invece sono più leggere e maneggevoli come sensazione (anche perché la sezione delle gomme è minore). È come se la bici con i freni caliper fosse una sciabola mentre la bici da competizione attuale è una spada. La sciabola è velocissima ma la spada al tatto è più dura.

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    Adesso passiamo da Q36.5! Come hai conosciuto il marchio per la prima volta? Qual è stato il primo capo di Q36.5 che hai provato? Come lo descriveresti? Sentivi “la differenza”? 

    Ho conosciuto il marchio tramite Ivan Santormita. Una premessa: io sono sempre stato un corridore molto attento. Guardavo come si vestivano gli altri corridori ed in generale guardavo sempre le novità del gruppo. Il capitano di una squadra o il corridore di riferimento aveva sempre qualcosa di diverso dai compagni di squadra, anche qualcosa di piccolissimo. Ed io sbirciavo sempre, ma guardavo anche come pedalava, lo stile in bici. Quando Ivan era corridore guardavo sempre come si vestiva perché appunto era anche lui molto attento ai dettagli. Vedevo che vestiva sempre più spesso capi di questo marchio che non conoscevo: Q36.5. Gli chiesi informazioni, mostrai interesse e ad un certo punto lui mi regalò delle calze…

    Come ti dicevo prima, ho dei piedi molto sensibili, in particolare la parte anteriore del piede. Infatti, se guardi le immagini degli anni in cui correvo, vedrai che avevo spesso delle calze tutte bianche o tutte nere, non fornite dalla squadra perché con le calze sbagliate il mio piede si bruciava, perdevo la sensazione nell’alluce. Invece con le calze di Q36.5 mi trovai subito bene, rispondevano alle mie esigenze: morbide, leggere, non facevano grinze non creavano attrito nella scarpa. Per il resto della mia carriera ho usato le calze di Q36.5 al posto di quelle degli sponsor.

    Poi nel mio ultimo anno di gare, verso fine stagione, ho iniziato a poter provare altri capi. Mi ricordo il pantaloncino Dottore Pro, che era perfetto: molto aderente, non si muoveva, con un fondello che non gli potevi criticare nulla … Per me il pantaloncino è il prodotto migliore del brand, ma anche perché è quello più importante: è il tuo punto di contatto con la bici per 5-6 ore… deve essere comodo e traspirante.

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    Oggi quali capi di Q36.5 usi per pedalare? Hai un prodotto preferito? Anche qualcosa di più piccolo, meno importante, ma a cui ti sei affezionato particolarmente?  

    Oggi vesto tutto Q36.5 e come dicevo apprezzo molto i pantaloncini ed anche le nuove scarpe Dottore Clima. Ma se devo nominare il capo a cui sono proprio più affezionato, con il quale non esco quasi mai senza, è la giacca antivento, Air Jacket. È un capo fantastico, che ripiegata metti nel pugno della mano e ti porti dietro in qualsiasi periodo dell’anno, quando vuoi fare delle salite perché sta in tasca o in una piccolissima borsa sottosella, senza che ingombri ma quando la indossi senti subito che ti protegge. Poi i nuovi calzini ultraleggeri [Calza Clima] sono veramente una genialata!

    Images: Giovanni Benvenuto

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